In Biosistemica definiamo il trauma come “quell’evento, o serie di eventi, collegato ad un’esperienza soggettiva di impotenza inerme o di incapacità di evitare il pericolo insito in esso” (Stupiggia e Lopez, 2009); la persona migrante spesso si ritrova al suo arrivo in terra straniera in un contesto che necessariamente lo pone in una condizione di impotenza, quale impossibilità di comunicare, esprimersi, capire, agire liberamente.
L’esperienza migratoria può costituire un particolare evento traumatico: se da un lato è legata alla verità dell’esperienza e non ad un processo di falsità o rimozione del significato (Stupiggia e Lopez, 2009), dall’altro, l’immigrato ricorda spesso con grande vividezza il suo arrivo in terra straniera, è un ricordo caratterizzato da una carica emotiva talmente enorme e violenta da poter provocare un’alterazione dell’attività psichica (Mazzetti, 2008).
Piuttosto che di un “trauma catastrofico” o di un “trauma cumulativo”, possiamo definirlo un “trauma iniziatico”, caratterizzato da una sorta di rito di iniziazione che definisce il passaggio al nuovo, rimarcando la cesura con il passato.
Come tutte le esperienze traumatiche, anche l’esperienza migratoria, lascia il suo segno più profondo nella memoria corporea; recenti studi di neurofisiologia sottolineano che il vissuto traumatico si inscrive peculiarmente nelle componenti sensoriali e motorie dell’emozione.
L’approccio biosistemico, caratterizzato dalla peculiare attenzione al corpo, si configura pertanto come strumento preferenziale nell’incontro clinico con pazienti immigrati. L’attenzione al corpo e al significato emotivo racchiuso nel sintomo somatico, permette di costituire una via di accesso per entrare in contatto con “l’essenza dell’esperienza traumatica”.